Tratto da “LA VOCE 2000”
Gesù e le persone disabili
La sofferenza e l'handicap mettono
a dura prova la fede. La domanda del "perché" rimane
senza risposta e la disabilità ammettiamolo non ci piace,
la percepiamo istintivamente come “estranea”, fastidiosa,
comunque lontana dai nostri “desiderata” e dai nostri
canoni di riferimento di questa nostra società che attribuisce
valore alla perfezione e ad un'alta qualità di vita lo standard
di riferimento. Difficile considerare ricca di significato una vita
condizionata dalla malattia o segnata dall'età avanzata e
limitata nella sua autonomia. Chi sceglierebbe il dolore come condizione
di vita? Chi, quando si sposa, sognerebbe di avere un bambino disabile?
Ammettiamolo, il dolore, la difficoltà, il disagio, mal si
conciliano con i canoni estetici e culturali della nostra vita.
Tuttavia la nostra esperienza di fede ci rimanda a Gesù che
si prende cura di tutti, che non fa distinzione tra poveri e ricchi,
uomo e donna, sani e malati. Gesù che ha preso su di sé
la croce e la morte.
Gesù che si rivolge con decisione contro l'idea che
la malattia o l'handicap siano conseguenze di un comportamento peccaminoso
(cgf Gv 9,1-3). Egli si prende cura di queste persone in modo particolare
come ci riferisce l'evangelista Matteo: "La sua fama si sparse
per tutta la Siria e così condussero a lui i malati, tormentati
da varie malattie e dolori, indemoniati, epilettici e paralitici;
ed egli li guariva" (Mt 4,24). Gesù dona nuova speranza
e nuova vita diventando così un esempio per tutti noi.
La dignità di tutti
gli uomini
Ecco che allora in Cristo ogni vita viene accolta, ha dignità
e senso anche quando noi non ce la facciamo proprio a scorgerli.
Una famosa espressione di sant'Ireneo, padre della Chiesa, sottolinea
la dignità di ogni persona umana: "Gloria Dei vivens
homo, vita autem hominis visio Dei" (La gloria di Dio è
l'uomo vivente, la vita dell'uomo è la visione di Dio) (Ireneo,
Adversus Haereres IV,20,7).
Il compito di chi si dice
“cristiano”
I cristiani, più degli altri, sono chiamati ad andare
incontro a tutti nella loro dignità di figli di Dio; sono
invitati a non lasciar sole le persone disabili e coloro che se
ne prendono cura, in particolare le famiglie nelle quali questi
vivono, le quali hanno bisogno della solidarietà e di aiuto
concreto.
Le persone con diversa abilità,
del resto, desiderano che la comunità parrocchiale le accolga
nei suoi organismi, hanno piacere di poter stare insieme, di esprimere
la propria opinione e di sentirsi considerati a pieno titolo membri
della comunità. Sarebbe bello inoltre se i "divers-abili"
non trovassero in nessun luogo sulla loro via barriere (non solo
quelle architettoniche)!
Bisogna però superare
anche altri ostacoli. Spesso infatti risultano di ostacolo ad un
sereno rapporto con queste persone la nostra insicurezza e il nostro
non sapere in che modo prestare loro aiuto. Per paura di fare qualche
cosa di sbagliato non abbiamo il coraggio di andar loro incontro.
A tale proposito una visita, un colloquio, due passi fatti insieme,
la partecipazione comune ad una manifestazione o ad una celebrazione
religiosa possono segnare l'inizio di una relazione arricchente
per entrambe le parti.
Una madre una volta mi ebbe
a dire che cosa si aspettava dal sacerdote: "Il parroco dovrebbe
fare visita in casa a persone disabili, dare ad esse il senso del
loro valore e della loro condizione di figli di Dio ed invitarli
alle celebrazioni liturgiche". E' compito e impegno di tutta
la comunità parrocchiale creare un clima nel quale tutti
senza eccezione possano sentirsi a casa loro: in chiesa, nella preparazione
ai sacramenti, nelle feste comuni.
beh a chi si definisce laico,
chiederei…
cos’è normale?
normàle: normàle
agg.
che è conforme a una regola, a una norma
che segue l'abitudine, ordinario, consueto
non com., che dà la norma, che serve da esempio o da modello
ma, chi stabilisce il modello?
Dipende molto dalla cultura e dalla società in cui si vive.
Però ci sono anche degli aspetti universali, nel senso che,
per esempio, certe patologie fisiche o psichiche, quando sono molto
nette vengono considerate qualcosa di anormale in qualsiasi società.
In parte si tratta di una questione di informazioni. Pensate per
esempio alle eclissi solari, un fenomeno naturale. Le eclissi solari
sono un fenomeno eccezionale, ma che noi consideriamo normale, noi
nella nostra società, perché le possiamo prevedere
e sappiamo esattamente di cosa si tratta. In una società
pre letterata l'eclissi solare è considerata un fenomeno
anormale, cioè un qualche cosa, che non soltanto è
eccezionale, ma è anche inquietante, ci pone degli interrogativi.
Potrebbe essere un segnale di morte. Allora questo attribuire un
significato di anormalità all'eclissi solare è legato
al fatto che non si sa cos'è l'eclissi. Se si cos'è
non è più anormale. Questo vale per molti altri fenomeni.
Il giudizio di anormalità, dato che si tratta sostanzialmente
di un giudizio, non di una caratteristica intrinseca è in
larga misura legato alla nostra difficoltà a capire e a accettare
qualcosa che ci appare non soltanto eccezionale, ma anche inquietante.
Se lo conosciamo meglio, ne conserviamo il carattere eccezionale,
ma questo fenomeno perde il carattere di qualcosa di inquietante,
diventa qualcosa che noi capiamo, che interpretiamo. Nella misura
in cui lo interpretiamo è meno anormale. Conoscere, quindi,
per capire può essere l’antidoto ad ogni forma di rifiuto,
anticamera dell’intolleranza e del razzismo. E se questo vale
per i rapporti umani in generale, a maggior ragione ci potrà
aiutare a capire la diversità fisica o cognitiva dei fratelli
meno fortunati e ci aiuterà a costruire un mondo più
abitabile per tutti!
Buona Pasqua.
di U.M.Brasioli
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